C. ha poco più di tredici anni e non si riconosce più. Si guarda cambiare, si trasforma di ora in ora e si perde in un baratro di strani pensieri e paure nascoste.
Il cambiamento è nato con l'osservazione, si è accorta di sé senza un vero motivo, specchiandosi casualmente sulle superfici lucide che incontra: le vetrine dei negozi, il finestrino dell'autobus, il riflesso negli occhi degli altri.
Gli altri però non si accorgono della sua lenta ma inarrestabile trasformazione, non subito almeno. Soprattutto quelli con cui vive che respirano la sua aria, che mangiano con lei, che condividono spazi e pensieri, sembrano anni luce dal capire cosa le succede. Nervosismo e gioia si alternano senza senso e questa perdita di controllo la spaventa e la affascina insieme.
Con chi condividere?
Non con gli adulti. I genitori sono afferrati nel vortice insieme a lei, non hanno la lucidità a volte di distinguere un comportamento aggressivo assoluto da un comportamento aggressivo direzionato contro di loro. Si sentono mancare le redini, la vedono sfuggire e si fanno mille domande accartocciandosi su loro stessi incapaci, a quel punto, di andare oltre le solite metodologie comunicative, oltre quello che andava bene fino a ieri ma che ora senza preavviso non è più adatto. E c'è di più. Quello che vedono negli occhi della figlia risveglia echi di antichi fantasmi che non sempre hanno potuto superare con la giusta elaborazione. Antiche paure che si scontrano con nuove paure in un labirinto del non detto che rischia di minare definitivamente il rapporto con lei. Che colpa ne ha lei? Nessuna, solo quella di ricordare tanto ciò che erano e che non hanno saputo/voluto affrontare al momento giusto. E chiudono il dialogo proprio nel momento in cui ce ne sarebbe più bisogno, un dialogo doloroso e difficile da fronteggiare ma tremendamente necessario che traghetterebbe lei e loro verso una sponda più abbordabile, faticosa ma abbordabile: quella del confronto.
Non con gli adulti. Gli insegnanti sono quasi tutti schiavi delle griglie di profitto con cui filtrano la realtà, come se indossassero delle ipotetiche gabbie sulla testa. I loro alunni non sono persone, ma risultati, è infatti così che li identificano: X quella brava in storia, Y quello che non vuole studiare, Z l'unica che fa bene i compiti. Eppure qualcuno cerca di approfondire, di parlare, ma il tempo in questo caso è il nemico imbattibile. Poche ore tante classi troppe facce: inevitabile la superficialità dell'incontro.
Restano le paure. Di crescere ma di non crescere. Di cambiare ma anche di rimanere così. Di non riuscire a farsi capire, di non riuscire a trovare una strada personale. Meglio stordirsi di musica, meglio far la strada con i coetanei che non hanno risposte, ma condividono le stesse domande.
Un'altra generazione si fa avanti.