Nel corridoio di questo Municipio della Capitale ci sono due faccette giovani che fanno capoccella dentro due oblò di una mezza parete di cristallo, sormontati da una scritta posticcia tenuta dallo scotch: "accoglienza". Hanno l'aria spersa, come fossero dalla parte sbagliata della scritta. Il torrente irregolare di utenti li ignora, gorgogliando attorno alla stazza bonaria di un uomo di panza e d'esperienza che sta lì accanto, in piedi. Incastonato nell'uscio del bussolotto dei primi due. Forse ne è il maestro, forse il secondino.
Con ritmo sicuro e lemme, dà risposte a tutti: batte le palpebre, gonfia e sgonfia l'addome e poi si pronuncia: piano e numero di sportello, mentre con indice grassoccio avvia i fedeli al corrispondente tasto di un distributore di biglietti.
Ricevuto il dono di un destino, ciascuno si disperde, naso all'aria, in cerca di una nuova porta.
Arrivo allo slargo con un display che dice l'ho azzeccata e quello è il posto mio. Ci sono panchine di metallo da ufficio ufficiale, tutte in fila girate come a un cinemino. Tutte a guardare quel display con numeri di sportello e di turno che girano ogni tanto. A chi tocca, s'infila in una porta che nasconde l'aldilà degli impiegati. Il grumo degli utenti è in gran fermento. Una signora seduta di lato a mo' di bidella li accudisce, li indirizza, li ammonisce, li rincuora. Per lo più li cazzia, arroventata dalla stizza che qualcuno pensi che la sua vita da dipendente comunale è bella.
Sbraita alto in faccia al mucchio selvaggio e prosegue con riprese via via più contenute guardando me, come se ci fosse intesa. Dev'essere perché sono l'unico in giacca in mezzo a un atelier da spiaggia: pinocchietti, canotte, prendisole, fantasmini, ciabatte plasticose o di cuoio alternativo. Il tutto mentre un manipolo di bambini anima lo slargo con ardimento da figli del Municipio, visto che i rispettivi genitori si guardano bene dall'avanzare diritti di patria potestà. E loro si scalciano, s' accapigliano, corrono, ruzzolano, urlano e strepitano.
Ce n'è una, piccola e cianotica, che piange a squarciagola in faccia al barboncino di un'anziana, che dalle braccia della donna rincara con abbaio squillante. Sembra l'arenile di Ostia dei film in bianco e nero. E invece è romacapitale 2015 formato Municipio. È estate. E il sospetto che gira fra tutti, per niente a mezza bocca, è che domani non sarà diverso.
Riguardo i marmocchi, che smocciano, si spalmano, stralunati nell'eco di quello spazio che forse non fu ben pensato e certamente mai per loro. E che nessuno fa loro un po' più amico.