Quando si diventa grandi?
- Mamma? Ciao, mamma. Senti, stasera non vengo a cena… No, mamma, non vengo… No, sono in treno… Sì, no, sono in treno… Sto per arrivare… a Roma. Sì… Sì… A Roma… No, mamma, è che mi hanno invitato a cena degli amici e… No, non torno… No, torno domani… Mattina. Si, domani mattina…
Qui la pausa si fa più lunga delle altre. Non è per problemi di collegamento, per interferenze e disturbi sulla linea. Un paio di volte lo vedo prendere fiato, come per parlare, ma evidentemente non trova il pertuso, il varco in quella che sa tanto di fiumana all’altro capo del telefono.
- No, mamma, dormo da questi amici di Roma e torno domani mattina.
L’ha detto. Tutto d’un soffio.
- No… No, mamma… Mamma?... Mamma, sono in treno! In treeeeno! Per Roma, mamma! E sono quasi arrivato e quando sarò arrivato andrò a cena con i miei amici e quando avrò cenato dormirò dai miei amici! Chiaro?
È saltato il tappo. Pausa. Ha la mano sugli occhi e la testa china.
- Mamma, sono graaandeee! Grande! Grande! Gra-nde! Gra-nde. Capito?
Chiude la telefonata. C’ha i pomelli rossi sulle guance e gli occhi sgranati.
Però ce li ha più sgranati il bambino della poltrona che gli sta di fronte. Che se lo guarda tutto. Dalle scarpe alla pelata. Passando per la pancetta da onesto quarantenne.
Poi il bambino guarda me.
E faccio di tutto perché la mia espressione dica che cose così non succedono mai mai mai.